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Si riportano due interessanti articoli del quotidiano Italia Oggi in tema di:
 "ENTI LOCALI / L'analisi / cosa cambia dopo la sentenza della consulta
Titolo Legittimo estendere la riforma a regioni e autonomie
 Testo articolo
La riforma-Brunetta è costituzionalmente legittima, nella parte che estende espressamente a regioni ed enti locali la disciplina degli incarichi dirigenziali a tempo determinato per soggetti non appartenenti ai ruoli, contenuta nell'articolo 19, comma 6, del dlgs 165/2001. È la Corte costituzionale, con la sentenza 12 novembre 2010, n. 324 a chiarire definitivamente la legittimità costituzionale dell'operazione legislativa posta in essere dal dlgs 150/2009 si sovrapporsi all'articolo 110 del dlgs 267/2000, del quale indirettamente si conferma l'irrimediabile disapplicazione. La Consulta ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale poste dalle regioni Piemonte, Toscana e Marche, in merito all'articolo 40, comma 1, lettera f), del d.lgs 150/2009, nella parte in cui ha introdotto nell'articolo 19 del dlgs 165/2001 il comma 6-ter. Tale disposizione stabilisce che i commi precedenti 6 e 6-bis del citato articolo 19 si applicano anche alle amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, sempre del dlgs 165/2001: dunque, anche a regioni ed enti locali. L'Anci e molta parte della dottrina hanno rilevato la presunta incostituzionalità di tale norma, che avrebbe compresso l'autonomia organizzativa costituzionalmente garantita, tanto alle regioni, quanto agli enti locali, impedendo di applicare le più estensive norme regionali o la disciplina dell'articolo 110 del dlgs 267/2000. In particolare, l'articolo 19, comma 6, è stato ritenuto penalizzante per le amministrazioni locali, soprattutto per le rigide e contenute percentuali entro le quali consente di assumere dirigenti esterni con contratti a tempo determinato. Le regioni ricorrenti, in particolare, avevano lamentato la violazione degli articoli 76, 117, comma 3 e 4, e 119 della Costituzione, ritenendo che la norma introdotta dalla riforma-Brunetta avrebbe leso la potestà legislativa generale e residuale delle regioni, estesa, a loro giudizio, all'organizzazione ed alle modalità di reclutamento del personale regionale e degli enti locali. Una legge statale non avrebbe potuto fissare e certamente non col dettaglio dell'articolo 19, comma 6, del dlgs 165/2001 l'acquisizione di dirigenti a tempo determinato non appartenenti ai ruoli. La Consulta ha totalmente rigettato l'impostazione delle regioni ricorrenti, evidenziando che il legislatore statale ha correttamente esercitato la propria potestà legislativa, trattandosi di una normativa riconducibile alla materia dell'ordinamento civile. L'articolo 117, comma 2, lettera l), della Costituzione attribuisce, infatti, alla competenza legislativa esclusiva dello stato appunto la materia dell'ordinamento civile. E il conferimento di incarichi dirigenziali a soggetti esterni si determina, spiega la sentenza 324/2010 attraverso «la stipulazione di un contratto di lavoro di diritto privato. Conseguentemente, la disciplina della fase costitutiva di tale contratto, così come quella del rapporto che sorge per effetto della conclusione di quel negozio giuridico, appartengono alla materia dell'ordinamento civile». La sentenza della Consulta rileva che l'articolo 19, comma 6, del dlgs 165/2001 non riguarda né procedure concorsuali pubblicistiche per l'accesso al pubblico impiego, né la scelta delle modalità di costituzione di quel rapporto giuridico. Dunque, non c'è violazione degli articoli 117, commi 3 e 4, e 119 della Costituzione, proprio perchè perché la norma impugnata dalle regioni non attiene a materie di competenza concorrente (coordinamento della finanza pubblica) o residuale regionale (organizzazione delle regioni e degli uffici regionali, organizzazione degli enti locali). Come rilevato, dalla sentenza della Consulta discende la conferma della disapplicazione dell'articolo 110, commi 1, 2 e 5, del dlgs 267/2000. Il comma 1 risulta assolutamente incompatibile con l'articolo 19, comma 6, perché non prevede alcuna limitazione percentuale all'incarico di dirigenti a tempo determinato. L'estensione dell'articolo 19, comma 6, invece impone di rispettare il limite massimo agli incarichi, che a questo punto non può non coincidere con l'8% relativo ai dirigenti di seconda fascia, poiché il limite del 10%, riguardante esclusivamente poche centinaia di dirigenti dello stato di prima fascia, non può estendersi all'ordinamento locale. A sua volta, il comma 2 dell'articolo 110 deve considerarsi del tutto abolito: esso, infatti, a differenza dell'articolo 19, comma 6, prevede l'acquisizione di dirigenti a tempo determinato oltre i limiti della dotazione organica. Anche il comma 5, ai sensi del quale il rapporto di lavoro dei dipendenti degli enti locali si risolve di diritto, non può considerarsi operante, rispetto all'estensione anche all'ordinamento locale dell'articolo 19, comma 6, per effetto del quale, invece, scatta l'aspettativa d'ufficio.
 ENTI LOCALI / È fuorviante pensare che il divieto non preveda sanzioni
Titolo Progressioni bandite
 Assunzioni nulle. Paga il dirigente
Testo articolo
di Luigi Oliveri Lo svolgimento di progressioni verticali, in violazione della disciplina della riforma-Brunetta, che le ha eliminate, comporta la nullità delle assunzioni e potenziali elementi di responsabilità amministrativa. Nonostante a partire dalla deliberazione 10/2010 della Corte dei conti, sezione autonomie, la magistratura contabile abbia assunto una posizione chiarissima, secondo la quale per effetto degli articoli 52, comma 1-bis, del dlgs 165/2001 e 24 del dlgs 150/2009 le progressioni verticali siano state eliminate, molte amministrazioni locali hanno continuato per tutto il 2010, a riforma vigente, ad espletare le relative procedure. Si è ingenerata, infatti, la convinzione che tutto sommato non vi sarebbero controindicazioni a procedere egualmente, visto che il legislatore non prevede espressamente sanzioni nel caso in cui si dia corso alle progressioni verticali. È, tuttavia, una visione erronea e semplicistica. Non si tiene sufficientemente in considerazione che la disciplina per le progressioni di carriera (che hanno sostituito le progressioni verticali) è contenuta nell'articolo 52, comma 1-bis, del dlgs 165/2001, il quale ammette esclusivamente il concorso pubblico, con eventuale riserva di posti non superiore al 50%. Tale norma, come tutte quelle del dlgs 165/2001, è qualificata come «imperativa» dall'articolo 2, comma 2, del medesimo dlgs 165/2001. Dunque, la violazione di tali norme comporta di per sé la totale nullità dei provvedimenti che le violino e degli atti negoziali, i contratti di lavoro, conseguenti. Allora, risultano evidenti le conseguenze delle assunzioni mediante progressioni verticali vietate. Si tratta, infatti, di assunzioni in una nuova categoria o area senza un valido titolo giuridico, sicché l'erogazione del compenso diviene illegittima e, dunque, possibile fonte di responsabilità amministrativa dell'ente e del dirigente che vi abbia dato corso (fermo restando il diritto del dipendente a percepire l'incremento stipendiale, fino a disapplicazione del provvedimento). Il vulnus derivante dal perdurante utilizzo delle progressioni verticali nonostante la loro eliminazione dall'ordinamento viene ulteriormente comprovato dal danno potenziale che esse arrecano ai lavoratori posti in disponibilità e, dunque, alle soglie del licenziamento. Gli enti, quando avviano le progressioni verticali, non adempiono all'articolo 34-bis del dlgs 165/2001 e dunque non verificano se vi sono dipendenti pubblici inseriti nelle liste di disponibilità, per l'attivazione della mobilità obbligatoria. Tale verifica, invece, è obbligatoria quando si proceda mediante concorso pubblico. Di conseguenza, proseguire nelle progressioni verticali non solo implica le responsabilità viste prima, ma compromette le protezioni sul lavoro che l'ordinamento ha previsto a beneficio dei lavoratori pubblici in disponibilità, ciascuno dei quali potrebbe vantare un diritto al risarcimento del danno subito dalla perdita della possibilità di ricollocarsi in un'amministrazione, derivante dall'illecito utilizzo delle progressioni verticali."