Dal sito della Corte Costituzionale si riporta la new del 14 aprile 2010: Corte Costituzionale Ufficio Stampa
"La Corte costituzionale, decidendo sulle questioni poste con ordinanze del Tribunale di Venezia e della Corte d'appello di Trento, in relazione alle unioni omosessuali, ha dichiarato inammissibili le questioni stesse in riferimento agli artt. 2 e 117, I° comma, della Costituzione e infondate in relazione agli artt. 3 e 29 della Costituzione.
dal Palazzo della Consulta, 14 aprile 2010."
Sintesi sentenza tratta dal sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri:"
Deposito del 15 aprile 2010
Sentenza n. 138 del 14 aprile 2010 in materia di matrimonio tra persone dello stesso sesso.
MATRIMONIO - PUBBLICAZIONI DI MATRIMONIO - RICHIESTA DI PUBBLICAZIONI RESA DA PERSONE DELLO STESSO SESSO - RIFIUTO PER ESTRANEITA' ALL'ORDINAMENTO GIURIDICO - MANCATO RICONOSCIMENTO DELLA LIBERTA' DI CONTRARRE MATRIMONIO TRA PERSONE DELLO STESSO SESSO.
Norme impugnate: artt. 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143-bis e 153-bis del codice civile.
Dispositivo: inammissibilità in relazione agli artt. 2 e 117 Cost.; infondatezza in relazione agli artt. 3 e 29 Cost.
La Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile e infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143-bis, 156-bis e 231 del codice civile, nella parte in cui non consentono il matrimonio tra persone dello stesso sesso, sollevate dal Tribunale di Venezia e dalla Corte di appello di Trento, con ordinanze rispettivamente in data 3 aprile 2009 e 29 luglio 2009, in riferimento agli artt. 2, 3, 29 e 117, primo comma, Cost.
Le analoghe questioni hanno tratto origine dal reclamo proposto da due persone dello stesso sesso avverso il rifiuto di pubblicazioni di matrimonio, opposto dall'ufficiale dello stato civile che ha ritenuto l'istituto inaccessibile alle persone dello stesso sesso sulla base della legislazione vigente e dell'assetto costituzionale della Repubblica. Pur non indicando espressamente la differenza di sesso tra i requisiti per contrarre matrimonio, le disposizioni del codice civile censurate si riferiscono al marito e alla moglie come attori della celebrazione, protagonisti del rapporto coniugale e autori della generazione.
Esclusa la possibilità di riformare il provvedimento impugnato ordinando le pubblicazioni di matrimonio all'esito di un'interpretazione evolutiva e costituzionalmente orientata della legislazione vigente, i giudici remittenti hanno dichiarato non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dedotta.
A giudizio dei remittenti, il diritto di contrarre matrimonio, espressione della dignità umana, rientra nel novero dei diritti fondamentali della persona di cui all'art. 2 Cost., che sarebbe violato dalla preclusione del matrimonio tra persone omosessuali. La libertà di sposarsi e di scegliere il coniuge riguarderebbe, infatti, la sfera dell'autonomia sulla quale lo Stato non può interferire, se non a tutela di interessi costituzionalmente prevalenti, quali l'ordine pubblico e la salute.
L'esclusione dal diritto di contrarre matrimonio secondo l'orientamento sessuale - né patologico, né illegale, sarebbe in contrasto, altresì, con la tutela costituzionale della famiglia, quale società naturale fondata sul matrimonio, senza specificazione della diversità di sesso. Ciò in base all'orientamento che attribuisce al termine naturale, che compare nell'art. 29 della Costituzione, un significato attestante l'autonomia della famiglia dallo Stato, che il diritto positivo si limita a riconoscere come modello di convivenza , come quella eterosessuale o quella omosessuale. Il divieto di matrimonio tra persone dello stesso sesso non sarebbe giustificato neppure in riferimento alla tutela della procreazione, posto che nell'ordinamento non è prevista la capacità di avere figli quale condizione per contrarre matrimonio. Conseguentemente, una volta escluso il fondamento del trattamento differenziato delle coppie omosessuali da quelle eterosessuali, il divieto di matrimonio tra persone dello stesso sesso rappresenterebbe un'ingiustificata disparità di trattamento tra persone omosessuali e persone transessuali, che ottenuta la rettificazione di attribuzione di sesso, ai sensi della legge n. 164 del 1982, possono contrarre matrimonio con persone del proprio sesso di nascita.
Con riferimento all'art. 117, primo comma Cost., i remittenti eccepiscono la violazione degli artt. 12 e 16 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo del 1948, dagli artt. 8 e 12 della CEDU e dagli artt. 7 e 9 della Carta di Nizza del 2000, che tutelano il diritto al rispetto della vita privata e familiare e il diritto di matrimonio nell'ambito della vita di relazione, vietando ogni discriminazione. Riferiscono i remittenti che la stessa Corte europea ha dichiarato contrario alla Convenzione il divieto di matrimonio del transessuale con persona del suo stesso sesso originario (caso Goodwin c. Regno Unito 17/7/02).
Con la sentenza in esame, preliminarmente, la Corte ha dichiarato inammissibili gli interventi dei soggetti terzi estranei ai giudizi principali, confermando la costante giurisprudenza in base alla quale sono ammessi a intervenire nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale, oltre al Presidente del Consiglio dei Ministri e, nel caso di leggi regionali, al Presidente della Giunta regionale, le sole parti del giudizio principale.
La questione è stata dichiarata inammissibile in riferimento all'art. 2 Cost., poiché diretta ad ottenere una pronuncia additiva non costituzionalmente obbligata.
La Corte ha ritenuto che "per formazione sociale, ove devono essere riconosciuti e garantiti i diritti fondamentali dell'uomo ai sensi dell'art. 2 Cost., deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico. In tale nozione è da annoverare anche l'unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendo - nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge - il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri".
Considerato che la disciplina di tale riconoscimento necessita di una normativa di carattere generale, al fine di regolare diritti e doveri dei componenti della coppia, il solo riconoscimento del diritto di contrarre matrimonio non realizzerebbe tale finalità stante la pluralità delle possibili scelte operabili. Tali scelte rientrano nella discrezionalità del Legislatore, cui spetta individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni omosessuali, restando riservata alla Corte Costituzionale la possibilità di intervenire a tutela di specifiche situazioni, in base alla ragionevolezza del trattamento differenziato tra al coppia coniugata e quella omosessuale.
L'omessa disciplina del matrimonio omosessuale non è costituzionalmente illegittima in relazione al parametro costituzionale evocato, con esclusione dell'applicazione dell'art. 27 della legge n. 87 del 1953, sull'illegittimità derivata da parte della Corte costituzionale, estendendo alle unioni omosessuali la disciplina del matrimonio civile al fine di colmare il vuoto conseguente al fatto che il legislatore non ha disciplinato il matrimonio omosessuale.
Con riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., ed alle norme interposte evocate, la Corte ha affermato che il richiamo alle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo non è pertinente, poiché essa riguarda una fattispecie disciplinata dal diritto inglese relativa a persona transessuale, comunque di natura non omogenea a quella di specie.
In base al principio di specialità, la Corte assume come parametro le norme della CEDU e della Carta di Nizza che prevedono il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia, recepite dal trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009. Rileva al riguardo che la normativa europea nell'affermare il diritto di sposarsi rinvia alle leggi nazionali che ne disciplinano l'esercizio e non impone la piena equiparazione alle unioni omosessuali delle regole previste per le unioni matrimoniali tra uomo e donna.
La Corte ha dichiarato non fondata la questione in relazione agli artt. 3 e 29 Cost.
L'art. 29 della Costituzione dispone che "la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare".
Come si desume dai lavori preparatori dell'Assemblea costituente, con l'espressione "società naturale" si riconoscono alla famiglia contemplata dalla norma diritti originari e preesistenti allo Stato, che questo doveva riconoscere.
Tali concetti di famiglia e di matrimonio hanno natura di principi costituzionali, come tali vanno interpretati, tenendo sì conto delle trasformazioni dell'ordinamento e dell'evoluzione della società, ma non anche modificando la relativa norma in modo da includere fenomeni e problematiche non considerati in alcun modo quando fu emanata. Il significato originario del precetto costituzionale non può essere modificato in via ermeneutica, perché si tratterebbe di procedere ad un'interpretazione creativa e non di una semplice rilettura del sistema. Al riguardo, infatti, "dai citati lavori preparatori la questione delle unioni omosessuali rimase del tutto estranea al dibattito dell'Assemblea, benché la condizione omosessuale non fosse certo sconosciuta". Pertanto, a giudizio della Corte, i costituenti, elaborando l'art. 29 Cost., tennero presente la nozione di matrimonio definita dal codice civile, che stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso. Specifica la Corte che lo stesso secondo comma del citato art. 29, affermando il principio dell'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, intende attribuire alla donna pari dignità e diritti nel rapporto coniugale;"la giusta e doverosa tutela dei figli naturali (art. 30 Cost.) nulla toglie al rilievo costituzionale attribuito alla famiglia legittima e alla (potenziale) finalità procreativa del matrimonio che vale a differenziarlo dall'unione omosessuale".
Non sussiste neppure violazione dell'art. 3 Cost., sia perché la disciplina del matrimonio esclusivamente tra uomo e donna trova fondamento nell'art. 29 Cost., sia perché le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio. Inoltre, la disciplina sui diritti dei transessuali non può fungere da tertium comparationis nel presente giudizio di costituzionalità poiché si tratta di condizione non omogenea a quella degli omosessuali, costituendo, semmai, il dirotto di sposarsi di coloro che hanno cambiato sesso un argomento per confermare il carattere eterosessuale del matrimonio, quale previsto nel vigente ordinamento."