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Si riporta il comunicato del 26 marzo 2021  dell'Ufficio Stampa della Corte Costituzionale riguardante:
ELEZIONI POLITICHE E CONTENZIOSO PREELETTORALE: LA
COSTITUZIONE NON ESCLUDE LA GIURISDIZIONE DEL GIUDICE
ORDINARIO SULL'AMMISSIONE DI LISTE O DI CANDIDATI

La Costituzione non esclude la giurisdizione del giudice ordinario - giudice
"naturale" dei diritti - sul contenzioso che nasce nel cosiddetto
procedimento preparatorio alle elezioni politiche nazionali, e che include
le controversie relative all'ammissione di liste o di candidati, coinvolgendo
quindi il diritto di elettorato passivo garantito dall'articolo 51 della
Costituzione. Ferma la necessità di garantire l'indipendenza delle Camere
- attraverso la riserva alle Giunte parlamentari del compito di giudicare i
titoli di ammissione dei proclamati eletti - l'articolo 66 della Costituzione,
sia nella formulazione testuale sia alla luce dei lavori dell'Assemblea
costituente, «non sottrae affatto al giudice ordinario, quale giudice naturale
dei diritti, la competenza a conoscere della violazione del diritto di
elettorato passivo nellafase antecedente alle elezioni, quando non si ragiona
né di componenti eletti di un'assemblea parlamentare né dei loro titoli di
ammissione».
Sono alcune delle affermazioni di maggior rilievo contenute nella sentenza
n.48 (relatore Nicolò Zanon) depositata oggi, con cui la Corte
costituzionale ha deciso le questioni sollevate dal Tribunale di Roma sul
Testo unico delle norme per l'elezione della Camera dei deputati (articolo
18-bis Dpr n. 361 del 1957).
Investito da un ricorso dell'associazione politica + Europa e di un candidato
della medesima lista, il Tribunale dubitava della conformità a Costituzione
dell'articolo 18-bis là dove stabilisce, da un lato, il numero minimo di
sottoscrizioni che ciascuna lista deve raccogliere per presentarsi alle
elezioni per la Camera dei deputati e, dall'altro, l'ambito dei soggetti
esonerati dal relativo onere. In particolare, secondo il Tribunale doveva
considerarsi eccessivo il numero di firme da raccogliere in ciascun collegio
plurinominale (almeno 1500), e troppo ristretto il novero dei soggetti
politici esonerati dall'onere di raccogliere le sottoscrizioni (limitato ai
soggetti costituiti in gruppo parlamentare in entrambe le Camere).
La Corte - dopo aver preso atto dell'assenza di un rito processuale che, in
relazione alle elezioni politiche nazionali, consenta la tutela giurisdizionale
tempestiva del diritto di elettorato passivo - ha ritenuto comunque
sussistente la giurisdizione del giudice ordinario, soprattutto al fine di
evitare il permanere di un ambito dell'ordinamento giuridico immune dal
controllo di costituzionalità.
Si legge infatti nella sentenza: «In un quadro in cui è la stessa Costituzione
a disporre termini stringenti (in base all'articolo 61 della Costituzione le
elezioni delle nuove Camere devono svolgersi entro 70 giorni dalla fine
delle precedenti), ne deriva la necessità, anche per le elezioni politiche,
della previsione di un rito ad hoc, che assicuri una giustizia pre-elettorale
tempestiva.
In attesa del necessario intervento del legislatore, allo stato attuale della
normativa e delle interpretazioni su di essa prevalenti, l'azione di
accertamento di fronte al giudice ordinario - sempre che sussistal'interesse
ad agire (articolo 100 del Codice di procedura civile) - risulta l'unico
rimedio possibile per consentire la verifica della pienezza del diritto di
elettorato passivo e la sua conformità alla Costituzione».
La prima censura, relativa al numero minimo di sottoscrizioni necessario
per presentare liste nei collegi plurinominali, è stata comunque ritenuta
non fondata. Infatti, alla luce dell'ampia discrezionalità spettante al
legislatore in materia e in considerazione, inoltre, dell'interesse
costituzionalmente rilevante alla serietà delle candidature, la quantità di
firme richieste non è stata giudicata manifestamente irragionevole.
La seconda censura, volta ad estendere l'ambito dei soggetti esonerati
dall'onere di raccolta delle sottoscrizioni, è stata invece ritenuta
inammissibile, perché affetta da carenza di motivazione, sia sull'interesse
ad agire dei ricorrenti nel giudizio a quo, sia, di riflesso, sulla rilevanza"..

- Fonte: dal sito della Corte Costituzionale

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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