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Il 31 luglio scorso, a distanza di pochi giorni dall'annuncio della decisione adottata nella seduta del 9 luglio, è stata depositata la sentenza n. 186/2020 della Corte Costituzionale che sancisce l'illegittimità del divieto di iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo: una decisione ampiamente argomentata, che segna un momento fondamentale nella storia del nostro ordinamento e che, finalmente, elimina una criticità che gli ufficiali d'anagrafe si trovavano ad affrontare quotidianamente, con ricorrenti casi di contenzioso, ma prima ancora di questo, elimina una palese disparità di trattamento.

Si tratta, in estrema sintesi, della declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 4, comma 1-bis, del D.lgs. n. 142/2015, introdotto dall'art. 13, comma 1, lett. a), n. 2), del d.l. n. 113/2018 (c.d. decreto sicurezza), convertito, con modificazioni, nella legge n. 132/2018. Come è noto, la pronuncia prende le mosse dalla decisione dei Tribunali di Milano, Ancona e Salerno di sollevare le questioni di legittimità costituzionale delle disposizioni che precludevano l'iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo. La norma "incriminata" disponeva, infatti, che "Il permesso di soggiorno di cui al comma 1 (per richiesta asilo) non costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica ai sensi del d.P.R. 30.5.1989, n. 223, e dell'art. 6, comma 7, del D.lgs. 25.7.1998, n. 286.

L'"eliminazione" della suddetta norma, come accennato, sostanzialmente torna a consentire l'iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo. Senza addentrarsi, in questo momento, nella analisi di una pronuncia tanto corposa quanto articolata, merita attenzione quanto affermato con forza granitica dalla Consulta, nel dichiarare l'incostituzionalità della norma censurata per violazione dell'articolo 3 della Costituzione; le criticità sono evidenziate sotto due distinti profili:
1) da un lato è stata sottolineata l'irrazionalità intrinseca della norma, poiché rendendo problematica la stessa individuazione degli stranieri esclusi dalla registrazione anagrafica, essa è incoerente con le finalità del decreto, che mira, almeno a parole, ad aumentare il livello di sicurezza;
2) dall'altro lato, la norma determina una irragionevole disparità di trattamento, perché negare l'iscrizione all'anagrafe a chi dimora abitualmente in Italia significa trattare in modo differenziato e indubbiamente peggiorativo, senza una ragionevole giustificazione, una particolare categoria di stranieri.

A giudizio della Corte, la violazione del principio di uguaglianza, enunciato all'articolo 3 della Costituzione, assume anche la specifica valenza di lesione della «pari dignità sociale».

► Clicca qui per scaricare la pronuncia n. 186/2020

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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